Dopo una buona nottata di sonno rifaccio lo zaino per tempo e riesco ad uscire per le sette, pur sapendo che la tappa di oggi è di tutto riposo, una ventina di chilometri. Ci vuole una giornata breve, dopo i trentasei di ieri ed i quaranta del giorno prima. Queste lunghe, monotone camminate per le Mesetas gelide al mattino e torride a sole alto hanno avuto un prezzo: ormai mi accompagna una tosse che mi assale periodicamente, con intervalli sempre più brevi.
Dopo colazione esco da Mansilla su di un ponte dove trovo subito la flecha amarilla, che sembra augurarmi una buona giornata. Mi chiedo con sentimenti misti se sarà davvero così e come questa giornata mi sorprenderà. Da un lato c’è la soddisfazione dei tanti chilometri macinati, delle Mesetas che sembrano avviarsi alla fine con l’idea di avere finalmente qualche saliscendi meno monotono, dall’altro il pensiero delle tante tappe che mancano all’arrivo. Ma neanche il tempo di fare queste considerazioni che la marcia ingrana, gambe e corpo che vanno per conto loro e prendo un passo costante, controllando mentalmente di non aver lasciato stavolta nulla all’albergue appena abbandonato.
La strada è buona, diritta tra grandi campi arati di fresco ed altri verdi del grano che appena spunta, e la giornata è radiosa, il cielo limpido, l’aria tersa. Alla mia destra, a nord, mi accompagna lontana ma amica una catena inaspettata di monti che sembrano coperti di neve, los Picos de Europa, nella Cordigliera Cantabrica. Cammino solo, neanche un pellegrino in vista, passando paesini da quattro case deserte dai nomi più lunghi di loro, Villarmoros de Mansilla, Puente Villarente e Valdelafuente, e in poche ore già inizio a scorgere la vasta spianata dell’agglomerato urbano di León. Qui il sentiero si fa più fangoso, più intuitivo e devo fare attenzione a non perdere i segni. Sui tetti si vedono i grandi nidi delle cicogne che nella civile Spagna non vengono abbattute.
Mentre i sentieri cedono il posto ai marciapiedi, occorre più astuzia per individuare le frecce gialle dipinte sui pali, agli angoli dei palazzi, ai bordi delle colonnine spartitraffico, sui cigli dei marciapiedi. La mia andatura è spedita e sono contento di essere in un posto animato dopo tanta solitudine. Oltrepasso una famiglia, papà, mamma e un bambino alto sì e no quanto il mio bastoncino da trekking, che guarda ammirato la mia insolita figura stagionata coi pantaloni da montagna, zaino, bastoncini, cappello e barba, mentre il padre gli spiega quanto rispetto si deve ad un un pellegrino in cammino, facendomi sentire un vecchio esperto e anche un po’ orgoglioso. Sorridendo gli spiego che trovo la strada per mezzo delle flechas amarillas, mentre gliene indico una. Lo vedo sgranare gli occhi, elettrizzato di aver scoperto un segreto imprevisto sul cemento grigio delle strade quotidiane. Da quel momento e per diversi minuti il bambino mi precede di qualche passo, impegnatissimo in questo nuovo gioco del “trova la freccia” per indicarmi la giusta strada, con i genitori sorridenti al nostro seguito. Questo continua finché ad una svolta le nostre strade si dividono, non senza una foto ricordo, lui con uno dei miei bastoncini.
Leòn è una bellissima sorpresa, città monumentale, vivace e ricca di storia dopo tanti giorni di solitario altopiano. Mi sistemo in albergue grande e pulito e, stracontento di aver ripreso rapidamente le forze dopo il forzato rito di doccia e lavaggio biancheria, mi metto a parlare con una famiglia americana, padre madre e due figli maschi, uno di circa diciott’anni. Scopro che il piccolo Dirk compie gli anni (forse dieci o dodici) proprio quel giorno.
Usciamo insieme per mangiare qualcosa e vedere la città, e di nascosto in una bottega di dolciumi in una piazzetta acciottolata compro un sacchetto di confetti di cioccolato che sembrano ciottoli di fiume, come talvolta ci sono anche in Italia. Più tardi glielo do per il suo compleanno, e la sera mi ringrazierà con un bigliettino scritto di suo pugno che conservo ancora. Il titolo del biglietto è “Chocolate stone man”, al signore dei sassi di cioccolato.
Il “sello”, il 42° timbro sulla Credenziale me la completa, e per buona misura me lo faccio apporre anche sul primo riquadro della seconda Credenziale che inauguro qui a Leon.
Visito la cinta di mura che abbraccia il centro storico, e la maestosa Cattedrale, che invita a riflessioni interiori con la penombra dei grandi spazi delle navate, le vetrate gotiche, i cori lignei secolari e le belle sculture. Non ricordo molto della cena, solitaria anch’essa, e della conclusione della giornata, ma sarò di certo andato a letto presto lottando con la terribile tosse, che cede presto alla stanchezza.