P1000802P1000803Dopo una buona nottata di sonno rifaccio lo zaino per tempo e riesco ad uscire per le sette, pur sapendo che la tappa di oggi è di tutto riposo, una ventina di chilometri. Ci vuole una giornata breve, dopo i trentasei di ieri ed i quaranta del giorno prima. Queste lunghe, monotone camminate per le Mesetas gelide al mattino e torride a sole alto hanno avuto un prezzo: ormai mi accompagna una tosse che mi assale periodicamente, con intervalli sempre più brevi.

P1000808Dopo colazione esco da Mansilla su di un ponte dove trovo subito la flecha amarilla, che sembra augurarmi una buona giornata. Mi chiedo con sentimenti misti se sarà davvero così e come questa giornata mi sorprenderà. Da un lato c’è la soddisfazione dei tanti chilometri macinati, delle Mesetas che sembrano avviarsi alla fine con l’idea di avere finalmente qualche saliscendi meno monotono, dall’altro il pensiero delle tante tappe che mancano all’arrivo. Ma neanche il tempo di fare queste considerazioni che la marcia ingrana, gambe e corpo che vanno per conto loro P1000810e prendo un passo costante, controllando mentalmente di non aver lasciato stavolta nulla all’albergue appena abbandonato.

La strada è buona, diritta tra grandi campi arati di fresco ed altri verdi del grano che appena spunta, e la giornata è radiosa, il cielo limpido, l’aria tersa. Alla mia destra, a nord, mi accompagna lontana ma amica una catena inaspettata di monti che sembrano coperti di neve, los Picos de Europa, nella Cordigliera Cantabrica. Cammino solo, neanche un pellegrino in vista, passando paesini da quattro case deserte dai nomi più lunghi di loro, P1000815Villarmoros de Mansilla, Puente Villarente e Valdelafuente, e in poche ore già inizio a scorgere la vasta spianata dell’agglomerato urbano di León. Qui il sentiero si fa più fangoso, più intuitivo e devo fare attenzione a non perdere i segni. Sui tetti si vedono i grandi nidi delle cicogne che nella civile Spagna non vengono abbattute.

Mentre i sentieri cedono il posto ai marciapiedi, occorre più astuzia per individuare le frecce gialle dipinte sui pali, agli angoli dei palazzi, ai bordi delle colonnine spartitraffico, sui cigli dei marciapiedi. La mia andatura è spedita e sono contento di essere in un posto animato dopo tanta solitudine. P1000819Oltrepasso una famiglia, papà, mamma e un bambino alto sì e no quanto il mio bastoncino da trekking, che guarda ammirato la mia insolita figura stagionata coi pantaloni da montagna, zaino, bastoncini, cappello e barba, mentre il padre gli spiega quanto rispetto si deve ad un un pellegrino in cammino, facendomi sentire un vecchio esperto e anche un po’ orgoglioso. Sorridendo gli spiego che trovo la strada per mezzo delle flechas amarillas, mentre gliene indico una. Lo vedo sgranare gli occhi, elettrizzato di aver scoperto un segreto imprevisto sul cemento grigio delle strade quotidiane. Da quel momento e per diversi minuti il bambino mi precede di qualche passo, impegnatissimo in questo nuovo gioco del “trova la freccia” per indicarmi la giusta strada, con i genitori sorridenti al nostro seguito. Questo continua finché ad una svolta le nostre strade si dividono, non senza una foto ricordo, lui con uno dei miei bastoncini.

Leòn è una bellissima sorpresa, città monumentale, vivace e ricca di storia dopo tanti giorni di solitario altopiano. Mi sistemo in albergue grande e pulito e, stracontento di aver ripreso rapidamente le forze dopo il forzato rito di doccia e lavaggio biancheria, mi metto a parlare con una famiglia americana, padre madre e due figli maschi, uno di circa diciott’anni. Scopro che il piccolo Dirk compie gli anni (forse dieci o dodici) proprio quel giorno.

 


Usciamo insieme per mangiare qualcosa e vedere la città, e di nascosto in una bottega di dolciumi in una piazzetta acciottolata compro un sacchetto di confetti di cioccolato che sembrano ciottoli di fiume, come talvolta ci sono anche in Italia. Più tardi glielo do per il suo compleanno, e la sera mi ringrazierà con un bigliettino scritto di suo pugno che conservo ancora. Il titolo del biglietto è “Chocolate stone man”, al signore dei sassi di cioccolato.

Il “sello”, il 42° timbro sulla Credenziale me la completa, e per buona misura me lo faccio apporre anche sul primo riquadro della seconda Credenziale che inauguro qui a Leon.

P1000828P1000838Visito la cinta di mura che abbraccia il centro storico, e la maestosa Cattedrale, che invita a riflessioni interiori con la penombra dei grandi spazi delle navate, le vetrate gotiche, i cori lignei secolari e le belle sculture. Non ricordo molto della cena, solitaria anch’essa, e della conclusione della giornata, ma sarò di certo andato a letto presto lottando con la terribile tosse, che cede presto alla stanchezza.

Calzadilla hospitaleroCalzadilla paintings 1La mattina mi attardo, il pensiero del freddo che mi aspetta fuori mi rende lento. Se ne vanno tutti e rimango ancora un pochino, mentre l’hospitalero è a qualche tavolo accanto. Col mio spagnolo smozzicato scambio qualche frase, e scopro che è pittore, i quadri appesi sulle pareti intorno li ha dipinti lui. Sono di un buon livello naif, e mi fanno pensare agli antichi lavori dei campi e dei tempi Calzadilla pictures 2Calzadilla pictures 3andati. Mi spiega infatti che i contadini ritratti nei campi sono i suoi nonni e suo padre. Assaporo le pennellate ad olio, i colori caldi, i dettagli delle cornici in legno, del grosso pane tondo sulla mensola del camino e penso che, a volte, la fretta di buttarci sul sentiero ci fa sorvolare sui luoghi, le persone e le storie che ci scorrono accanto. Mi ricordo dei trekking in Dolomiti fatti col gruppo di montagna, Meseta misty greenMeseta sunny plowede di come certi giorni si arrivava al rifugio senza quasi aver ammirato la natura attraversata. Come è breve il tempo, e quanto tagliamo via, per le scelte che facciamo. Ed è per questo che tutti gli amici pellegrini mi hanno detto, prima di partire, di prendere tutto il tempo che volevo, da pensionato quale sono, e avevano ragione.

E’ un altro giorno di camminata solitaria, nella nebbia e nella vastità della meseta. I grandi campi si alternano, ora verdi del grano tenero che appena cresce, Meseta sheepSoo Jae in Mansillaora ancora arati marrone e ocra. Il vento freddo più o meno costante mi ricorda che sono ancora a più di 800m di altitudine. Avvicinamento lento e lungo alla ferrovia sulla sinistra, che sfioro appena, poi attraversando Reliegos decido di scendere verso Mansilla dove, all’albergue, incontro di nuovo Soo Jae, l’amico coreano, che si è riunito con i suoi amici di comitiva.

 

 

Una notte con poco ristoro. Tossisco tutta la notte, e ancora una volta devo andare al bagno perché l’antibiotico mi sconvolge lo stomaco.

Parto a camminare con la mia massima tenuta invernale che è pur sempre insufficiente per l’umido e il freddo. Il berretto mi tiene le orecchie calde ma i guanti di pile lasciano passare il vento gelido che mi ghiaccia le dita. Meseta brineI piedi, almeno quelli sono caldi con la doppia protezione di calzino più calzettone. Meno male che non piove, ma la campagna è coperta di una coltre di brina ghiacciata che fa sembrare tutto grigio cenere. La nebbia nasconde le distese delle mesetas. Ogni tanto appare un cespuglio al lato del sentiero, subito inghiottito dalla nebbia dietro le spalle.

Road mark with flechaPensavo di migliorare con le cure, ma non è vero. La testa mi scoppia di una ridda di pensieri. Perchè faccio questo, cosa devo provare a me stesso, come mi sento veramente, quali rischi sto correndo, quanto ho fatto finora (sul Cammino e nella vita) e cosa c’è ancora da fare, che succede se salto una camminata e prendo l’autobus come fanno altri, quando è stata l’ultima volta che ne ho visto uno, di mezzi qualsiasi, in questo deserto invernale che manca di vita e mi lascia solo, qui e ora, qui e in questo momento.

La mente torna alle comodità e al clima di casa mia, e a come sarei sicuro di rimettermi con un pò di caldo. Chissà se a casa l’aprile ha il tepore dell’Italia, mentre qui sfido l’inverno nelle mie condizioni di salute pessime. Basta, basta, al prossimo centro mi informo, posso pernottare in un vero albergo, fissare il volo di ritorno da Santiago a Roma e chiedere come arrivare in mezza giornata all’aeroporto.

A un tratto, senza accorgermene, sono tra le case. Provincial placardNon me ne sono neanche accorto. Mi fermo e mi guardo attorno allibito, è un paese, non di quelli all’apparenza abbandonati tanto sono immoti. Uomini vanno al lavoro, c’è qualche palazzo, qualche auto persino, ci sono i segni del Cammino, e finalmente capisco di essere dentro Sahagún.

Trovo la porta dell’albergue locale stranamente socchiusa (a quest’ora sono spesso chiusi) faccio per entrare e mi precede d’impeto un poliziotto alto. Urla quattro parole ad una persona delle pulizie, e poi scuro in volto mi chiede che voglio. Provo a chiedergli dell’hospitalero, ma lui mi ripete la sua richiesta. Infine, gli faccio segno che vorrei il “sello”. Non finisco il gesto che si dirige spedito al banco dell’accettazione e attende pazientemente mentre io mi tolgo lo zaino e pesco fuori la credenciál. Me la timbra, sempre serio ma paziente aspetta che metto tutto a posto, rimetto lo zaino e mi fa uscire. Mi indica un bar aperto per un caffellatte benedetto, lo ringrazio tanto. Naked treelaneUn altro confronto con il “mio prossimo” è finito, e sono bastati pochi secondi per cambiare la depressione iniziale. Mi scaldo nel bar, la tazza e una pasta zuccherata mi sollevano le forze e lo spirito risale insieme allo scorrere del sangue nelle vene.

Penso che sto meglio. L’antibiotico sta facendo il suo effetto, anche se il male dà le ultime frustate. Non piove, qualche pellegrino di passaggio mi dice che si prevede per domenica tempo migliore, sono a due terzi del Cammino che mi ha dato tanto, e tutto questo mi rimescola dentro.

Riprendo a camminare con un altro spirito, saluto questa cittadina che mi ha trattato bene. Raggiungo Calzada del Coto dove la strada si biforca, a sinistra “Camino Frances”, a destra si varca il ponte per scendere a Calzada e seguire la “calzada romana” dove l’odierno sterrato segue la via Traiana. Chissà se anche San Giacomo l’ha percorsa. Lunga e desolata, mi mena ad un altro paesino dallo strano nome musicale: Calzadilla de los Hermanillos.

L’albergue è abbastanza accogliente ma freddo, con una cucina, una sala con tavolo, letti a quattro brande sopra e sotto con divisori. Ci sono gli italiani di Bolzano (Marianne, Susanne, Maria Teresa e il fratello Hans Georg), solo 3 dei ragazzi coreani dato che il loro gruppo va frastagliandosi (riconosco Soo Jae da Hontanas) e uno spagnolo alto, anziano, magro e barbuto, taciturno. Non sarà Don Quixote?

La doccia è fredda. Fuori un sole che non scalda fatica a uscire dalle nuvole che corrono, Peering Christsospinte dal vento incessante, e la biancheria che mi lavo a malapena asciuga.  Devo uscire per cercare del cibo. Mettendo il piede fuori dall’uscio guardo la colonna di pietra davanti all’albergue e rimango colpito dal crocefisso in cima. Nel mio cammino non ho mai trovato, né troverò oltre, un Cristo col capo girato che mi guarda. Mi sorge spontanea, come una preghiera: “Signore, Tu che sai come il Cammino mi ha fatto ritrovare la mia famiglia e ripensare al mio passato, Tu che sai come gli incontri del Cammino mi rendono vivo ed essenziale questo presente, Tu che sai tutto, Cristo, cosa ne sarà di me e del mio futuro?” Mi risponde il vento freddo.

Nel gruppetto di case deserte posso solo trovare l’unico negozietto gremito di salumi e scatolette, con un omino gentile per farmi un panino al jamón serrano e un frutto, e poi crollare nel mio sacco a pelo.

Altro giorno freddo, freddo e umido. La pioggerellina in uscita da Carrión è allegerita da un gruppo di giovani che mi sorpassa cantando a squarciagola e a grandi passi allegri si Singing fellowsallontana. La tosse continua, però il petto ha smesso di bruciare (buon segno). Ancora una giornata di cammino sulla meseta infinita, a ca. 800m di altitudine, con una lunga tappa iniziale monotona fino a Calzadilla de la Cueza, poi attraverso Ledigos arrivo a Terradillos molto stanco. L’albergue è accogliente, ma dove mangiamo tutti fumano, compresi parecchi pellegrini, e la cosa mi stronca.

Stone mazeRiesco a utilizzare il servizio di lavaggio e asciugatura, e poco prima di cena ci riportano tutto asciutto ma in un mucchio unico, per cui ad ogni pellegrino tocca riprendere attentamente la sua roba. Alla fine dopo il controllo mi manca ancora una mutanda, è caduta dietro il mobiletto e la recupero. Non sia mai la perdo, sono solo tre in tutto, ne ho in mano due più quella addosso.

Faccio nuove conoscenze, Marco di Torino, il caro Marcos, spagnolo, col suo cappello di paglia e la chitarra, Pete che mi fa subito sapere di essere membro della confraternita inglese di Santiago e David di Jersey. Alcune diventeranno preziosi compagni di cammino. Calzadilla de la CuezaDormiamo tra partizioni di cartone o poco più e il concerto di russamenti, nonostante i soliti tappi per le orecchie, si spegne solo per la stanchezza.

La mattina Pete è il primo a essere pronto a partire, veloce sveglio e preciso, attende l’amico David e partono a razzo, dimenticandosi 2 magliette sul radiatore. So dove si fermeranno, e così mi tocca infilarle nello zaino, insieme al berretto di Manuel trovato sul sentiero. Sto facendo collezione… Ma avanti troverò David, e ci penserà lui a farle avere a Pete.

Canal puddlesSluice at FrómistaGiornata umida e fredda. Sono preoccupato delle mie condizioni fisiche. La tosse si è aggravata, e so che devo fare qualcosa in più delle pasticche o dello sciroppo che mi porto appresso e prendo quando me ne ricordo, perchè il petto mi brucia quando tossisco e diventa difficile fermarla. La tappa è lunghissima in quanto ai chilometri previsti per oggi devo aggiungere i ca. 10km non fatti ieri. Stork in fieldPercorro lo sterrato tra le pozzanghere lungo il canale di Castilla. La preoccupazione per la pioggia diventa certezza quando arriva lo scroscione misto a grandine. Una cosa che non avevo preso in considerazione è l’effetto della grandine in testa, che è fredda e fa male. Devo ricorrere al cappello da sole messo sopra il cappuccio impermeabile, devo essere uno spettacolo, ma non c’è nessuno e comunque non m’importerebbe granché.

Rapida come è arrivata la grandine se ne va, e mi calmo osservando le ondulazioni tranquille dell’acqua del canale e qualche raro uccello che nuota senza rumore. Dopo circa quaranta minuti assorto nei miei pensieri, invece, San Martínl’attraversamento fragoroso del canale e delle opere idrauliche a Frómista è uno spettacolo inatteso. Più oltre vorrei ammirare la romanica Chiesa di San Martín, Pilgrim and starsma purtroppo la trovo circondata da recinzioni di restauro del piazzale antistante.

Nel pomeriggio la lunga strada per Carrión si rischiara di sole, anche se all’orizzonte vedo alti cumulonembi temporaleschi tutt’intorno. Arrivo trascinandomi in condizioni pietose. Salto i primi albergues cercando, non so perchè, quello tenuto dalle suore Hijas de la Caridad de San Vicente. Entro nel grande atrio che odora di pulito, vedo una suora seduta dietro un tavolo. Mi parla, ma quando tento di rispondere sbotto in un lungo, Blue and thunderstormsallucinante accesso di tosse catarrosa. Il bruciore dietro lo sterno mi fa piegare, sono gelato e sento anche la febbre. Vedo la suora allarmata, mi fa sedere e sparisce per tornare qualche minuto dopo con una provvidenziale tazza di latteLast 6km to Carrión dolce e caldo. Non mi sembra vero, lo sorseggio estatico mentre la cara suorina mi timbra la Credenziale. E’ una benedizione, e dopo la doccia seguo il consiglio imperioso della suora di andare al centro medico che nel frattempo ha aperto e che si trova giusto dietro l’angolo, a pochi passi dal convento. Grazie alla tessera sanitaria europea la diagnosi gratuita è tracheite, appena in tempo per evitare un peggioramento. Ottengo prescrizioni per antibiotico e acetilcisteina, per fluidificare il catarro. In farmacia ottengo le scorte e dò subito la prima dose di ausilio alle

Saint James columnmie malandate difese immunitarie. Della cara suora del paesino lontano non so neanche il nome, ma la benedirò sempre.

Dopo un pisolino pomeridiano in silenzio su un vero, comodissimo letto con lenzuola e coperte (!), passo la serata allegramente con Marianne e Hans Georg di Bolzano, anche loro capitati qui, e un altro gruppo di francesi un pò sulle loro. La notte passa nell’abbraccio salvifico del convento.

Partito da Hontanas con la pioggia, cielo cupo e grave, ma sono fortunato ad avere solo pioggerellina per due ore fino a Castrojeriz. Anche quella termina e rimane tanto, tanto fango delle lunghe e ondulate mesetas, interrotte solo dalla mia tosse.

TrailPer dare un’idea a chi non l’ha mai fatto (i pellegrini ci si potranno identificare) del passare dei giorni camminando verso Santiago, ricordo che le ore scorrono in modo molto diverso da momento a momento. Chi è solo come me, il più delle volte preferisce camminare da solo, ma non si è mai soli. Le distrazioni sono tante, il freddo o il caldo, la stanchezza, i piccoli e grossi dolori corporei, i tanti incontri di varietà umana e, in genere, dei pochi nativi che sembrano qui da sempre parte del paesaggio, le meraviglie che scorrono accanto, la sosta per la foto che mi rallenta, la macchinetta fotografica in tasca che mi batte leggera ma costantemente sulla coscia, i cambi di passo per il terreno accidentato, e con il mutare del terreno muta il microclima intorno. In pochi minuti, il sudore e l’affanno prendono il posto del torpore e del gelo di primo mattino. Passano salite, discese, ponti, strade, paesini, alberi, e sempre in alto il cielo dispensatore di vento, umido e sole da cui è difficile sottrarsi oppure così splendido e infinito che rinvigorisce, case e archi, sentieri appena accennati o larghi tratturi come qui, muretti muschiati o sassi alla costante ricerca della Flecha Amarilla (la freccia gialla che ti accompagna sempre). Poi ci sono le necessità di una sosta per bere o per appartarsi a liberare la vescica o per trafficare nello zaino, prendendo il berretto o una caramella, cambiando vestiario, raramente per un ristoro al bar tranne che alla fine della giornata, mai, mai uguale alla precedente. O alla prossima.

E poi ci sono i pensieri. Si affollano istericamente, dal passato, dagli incontri di ieri e di poco fa, gli esercizi sul significato delle cose e degli avvenimenti. E su di me: quanto sto veramente male o invece quanto il dolore del giorno sia ancora sopportabile. Oppure i pensieri non ci sono, e allora mi invento i ritmi dei passi collegati con i bastoncini, le poesie sui passi, i mantra da recitare al ritmo dei passi, talvolta le preghiere, il controllo dei respiro, la consapevolezza delle sensazioni del peso sulla schiena, del gioco degli spallacci e della cintura della zaino, del costante confronto dei piedi con le scarpe, i giochetti per tirare fino alla cima della collina o fino al prossimo cippo che segna le centinaia di chilometri che ancora mancano a Santiago. Ma quando arrivo al cippo e ne leggo il numero, che sarà? Saranno i milioni di passi e di volontà di quelli che gli sono passati accanto, e di cui quel cippo e questo Cammino sono in qualche modo impregnati, ma il dolore che pareva insopportabile al polpaccio o al piede non c’è più (o non me lo ricordo). La sola cosa importante è quel numero che scende, che è meno del precedente, che ti incoraggia e ti sostiene.

Poco dopo il confine tra la provincia di Burgos e quella di Palencia, arrivo lentamente a San Nicolás del Puente Fitero. E’ il famoso ostello di conduzione della confraternita italiana di Santiago di Compostela, l’unico qui in territorio spagnolo (gli altri sono sulla Via Francigena e a Roma). Sono sorpreso, me l’aspettavo diverso, è solido ma umile e sobrio, molto diverso dagli ostelli rumorosi trovati altrove. Si potrebbe passare senza accorgersene. Il portone è chiuso, e con rammarico leggo e rileggo le date e gli orari scritti su un foglio. Mancano due ore all’apertura della stagione, troppe da “perdere” dato che sono a metà giornata. Nonostante la pioggerellina mi tolgo lo zaino, strappo un foglio dal mio taccuino e lascio un biglietto agli amici PPS (il caro forum dedicato al Cammino e a tutti i cammini del mondo, http://www.pellegrinipersempre.it). Lo infilo tra l’avviso e il legno del portone, è già bagnato, chissà se regge co’sta pioggia, penso.

Varco tossendo il ponte sul río Pisuerga, e tossendo arrivo poco oltre a fermarmi al bar fortunatamente aperto di Puente Itero (de la Vega) dove la gentile signora Natascia (è bulgara) mi fa spostare lo zaino dal tavolino fuori all’interno, permettendomi di mangiare il mio pane e formaggio al caldo e con una bevanda calda. Alla fine della breve pausa riprendo il cammino nel fango e nella pioggerella.

Dopo poco sento una rara auto che si avvicina sul mio stesso tratturo e rallenta. Mi sposto di lato per farla passare, ma mi sento chiamare in italiano, sono alcuni degli hospitaleros PPS di San Nicolás che hanno trovato il bigliettino e sono venuti a cercarmi! Eh già, sono il primo pellegrino della stagione 2009. Una grande sorpresa, sorrisi, abbracci all’italiana che dissipano le mie malinconie e mi riportano al rimpianto “albergue” dove incontro gli altri.

Finite le abluzioni e con il ristoro di un thè caldo che rimette al mondo, mi rendo conto di non essere in un qualsiasi albergue. Il posto trascende i secoli. San Nicolás infatti era una delle tante ermitas costruite per i fedeli lungo il Cammino e, dopo tanti sconvolgimenti avvenuti nei secoli, era in completo abbandono e ridotta a ricovero per le bestie dei contadini. Per la volontà della Confraternita sezione italiana l’edificio è stato ottenuto in comodato, restaurato dal 1992 e adibito ad ospitare ogni sera un piccolo numero di pellegrini. Prima dei lavori, la terra riempiva la cappella per un metro; il tetto mancava. Al suo restauro hanno contribuito in tanti, italiani e spagnoli, come Ignacio Nieto Alvarez, morto prima di vedere il completamento dell’opera, e la cui urna riposa, per suo volere, in un angolo buio ma non dimenticato dell’antica cappella, accanto all’altare ricomposto. L’attento lavoro di restauro ha permesso di adibire il salone a zona cappella, area centrale di soggiorno e cena, e estremità opposta per 6-8 letti a castello per ricovero, più un soppalco per gli hospitaleros.

Dopo il tradizionale e antichissimo rito della lavanda dei piedi ai pellegrini, Candlelit tablesimbolo di carità cristiana compiuta dall’hospitalero che indossa la cappa della Confraternita, passiamo un’allegra serata a lume di candela con gli hospitaleros Ziovittorio, Zena e Sylvie, due pellegrini francesi e due ragazze bionde olandesi estroverse e simpatiche. Con mia meraviglia scopro durante la cena che le olandesi sono sposate sì, ma tra di loro, e scopro un’altra realtà del mondo, e penso che il Cammino è per tutti. Sul libro dell’Hospital scrivo due parole di gratitudine per un altro giorno memorabile, indietro nel tempo.

La notte arriva presto per dei stanchi pellegrini. Seguendo un’altra antica usanza, prima di chiudere Ziovittorio mette una lanterna accesa sulla soglia, fuori dal portone, che servirà per indicare a qualsiasi viandante nella notte l’ospitalità di San Nicolás. Con l’aiuto di provvidenziali pasticche per la tosse trovate in una farmacia chissà dove riesco a non pesare troppo sugli altri, e mentre penso questo non ricordo altro, tranne la sensazione del freddo di una cappella medievale con un sacco a pelo estivo, e degli otto secoli di storia che mi circondano.Compostellan blessing

Al mattino appena il tempo di vestirsi, di infilare il denaro nella cassetta delle offerte, di bere una frettolosa tazza calda e, fuori dall’uscio con indosso lo zaino e in mano i bastoncini, il nostro gruppetto ascolta le parole dell’hospitalero della Confraternita con una secolare benedizione compostellana, che ci accompagnerà sul nostro cammino.

La mattina del 13 faccio colazione al Garbo aspettando l’apertura dell’ufficio postale. Distratto facendo Bike path in Burgosfoto non mi accorgo che, invece che alle 9,30 ha aperto alle 8,30. Ritiro il sospirato pacchetto, cambio qualcosa dallo zaino, me lo spedisco a casa e mi incammino alle 10.

Green mesetasLasciata la città, si stendono davanti le famose e temute mesetas, gli altopiani, lunghe, piatte e desolate, un mare di verde. Passo Tardajos. Vento freddo fin quasi all’una. TardajosLa tosse che mi accompagna da qualche giorno si fa insistente. A Rabé de las Calzadas incontro un pellegrino di nome Simone che fa la “vuelta”, cioè il ritorno a piedi, come facevano nei tempi antichi. Partito un anno e mezzo fa da Roma, è stato a Santiago tutto questo tempo e ora torna per recarsi, dice, a Gerusalemme.

Lunghe e fredde tappe tra un paese e l’altro, un thè per scaldarmi a Hornillos e l’ultima lunghissima marcia fino alla discesa per Hontanas. Quasi trentuno chilometri mi hanno spossato, dopo il fermo forzato di quattro giorni. Vado prima ad un bar a salutare Dana (di vicino Rostok) e Virginio di Viterbo e portare i saluti di Simone. Hontanas albergueCenerò da loro. L’albergue è pieno di giovani coreani gentili (mi scrivo ancora con Soo-Jae), e due spagnoli meno gentili. Incontro anche quattro simpatici italiani di lingua tedesca di Bolzano, Hans Georg, occhi azzurri, capelli e barba bianca, Maria Theresa cotta dal sole, Marianne la più pensosa e Susanne, giovane maestra di asilo. Li rivedrò spesso, e vivremo insieme con Susanne un altro forte momento del Cammino.

Oggi Domenica di Pasqua mi sveglio tardi, lavo la biancheria e vado di corsa per un appuntamento desiderato a lungo. In questo giorno di festa raggiungo il Bar Garbo, visto ieri sul Paseo accanto al fiume, poco distante dalla giostra immobile, e mi ordino: “Chocolate, churros y cortado, por favor!” Una mattina di Pasqua come si deve, con la cioccolata calda, i famosi bastoncini rigati (perchè estrusi da un ugello a stella) di pasta morbida, fritti e spolverati di zucchero ancora caldi e croccanti, e caffè espresso macchiato con quantità di latte uguale al caffè. Sono i primi churros con la cioccolata, me li sogno da quando ho messo piede oltre i Pirenei.

Li gusto con devozione, poi faccio un pò di passeggio vestito da barbone (pardon, da pellegrino) in questa Burgos festosa, affollata di coppie e famiglie eleganti a spasso per lo “struscio” di primavera, vestiti a dire il vero in tenuta del tutto invernale. Siamo ancora a 7° e si vedono Easter dinnerpellicce e giacche a vento. Una visita, l’ultima nella Cattedrale gremita, poi alla pensione Hostal per il “pranzo” pasquale a base di salame preaffettato, formaggio e dolcetto alle mele, mentre auguri solitari vanno e vengono per sms. Ripenso con una punta di malinconìa ai pranzi pasquali di tradizione napoletana con mia madre, dove per cominciare io benedivo la tavola con il rametto di ulivo e l’acquasanta portata dalla chiesa, e l’antipasto era ricotta salata, salame e uovo sodo. Qui manca l’uovo, niente ricotta e sono solo.

La sera, dopo grossi sforzi per inviare da un internet-point la delega all’amico Patrick che mi tiene casa per il ritiro alle Poste italiane di una raccomandata, vado al ristorante La Posada in piazza San Domenico Guzman, dove mi portano come verdure grigliate: zucchine, asparagi bianchi, quelli verdi piccoli di montagna, fave, cipolle, funghi, carciofi, taccole e pomodori (!) poi “guizo lechado”, cioè spuntature di manzo al sugo con patate, poi crema catalana, il tutto innaffiato da una copa de crianza de Rioja per 34€, una pazzia per un pellegrino.

Iniziata nel 1221 sotto re Ferdinando III e completata nel sedicesimo secolo, la Cattedrale è uno splendido esempio di architettura gotica e, con le due torri alte 84m della facciata ovest e portali riccamente decorati, è l’emblema della città di Burgos.

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Visito chiese su chiese. Compro un ombrello a 8,5€, non si sa mai. Mi sarà utilissimo in Galizia. Gli ultimi pellegrini dei giorni scorsi che vedo a Burgos sono la coppia di mezz’età di Barcellona che ho visto per 4-5 giorni di seguito da Logroño. Lui soffre di diabete, lei ha la pressione bassa come me. Conveniamo che l’aria di montagna (Burgos si trova a 860m. di altitudine) aiuta tutto, e si brucia bene camminando.

Filling the moleskineSabato mattina passo il tempo che mi rimane all’apertura (?) delle Poste per scrivere queste righe. Mi dirigo all’angolo visitato più volte, dove diverse persone attendono speranzose con me. Macché, dietro le alte porte vetrate le poste restano deserte, in questa mattina soleggiata ma gelida (6°) e vento di brezza tesa. Altri due giorni fermo a Burgos.

Torno sconsolato verso il Centro e mangio uova, jamon e patate in un triste, anonimo bar guardando in tv un video di Ramazzotti. Mi trovo una stanza tranquilla e meno cara, a 15€ tenuta da un bulgaro, e esco di nuovo. Magia, la visita al Museo della Cattedrale è finalmente possibile, al contrario dei giorni scorsi. L’entrata è solo 2,5€ presentando la Credenciál, che mi timbro también. Opere fantastiche di maestrìa e fede nei secoli. La inferriata, dove ieri mi è caduto il guanto, recuperato per opera di un sagrestano, è oggi aperta, e ammiro l’opera di intaglio del coro ligneo. Altari dorati, statue, marmi policromi, calici, ostensori, vetrate, tutto è unico e irripetibile. Alla fine il freddo pungente si fa sentire e fuggo in cerca di calore.

Serata ricca di piccole cose, nelle vetrine e negli sguardi della Merry-go-roundgente festosa, che la tradizione ha reso così. Sono sorpreso che c’è persino la banda allegrissima per le strade di Burgos, quando ieri nelle chiese c’era la tradizionale mestizia della Passione. Del resto, anche in Italia le chiese sono addobbate di viola, colore del raccoglimento in attesa della Resurrezione del Cristo, ma fuori si pensa solo a mangiare e bere. Tutto è febbrile attività, tranne per le Poste Centrali. Suonatori balcanici di xilofono (cymbal) e fisarmonica sotto i portici, una nostalgica giostra con bambini festosi sulle rive del Rio Arlanzón, giornata fredda East music(massimo 7°) nonstante siamo a metà aprile e cielo terso e luminoso fino a tardi.

Mangio qualche tapas e calamares, sbirciando la tv con la corrida e poi la partita con i gol urlati a lungo, come fanno qui e negli altri paesi latini. Vado a letto pregustando l’appuntamento di domani.